logoNCH_dark

Aneurismi

Cosa s’intende per aneurisma cerebrale?

Gli aneurismi cerebrali sono delle dilatazioni circoscritte delle arterie intracraniche di forma varia, ma generalmente sacculari, le quali si formano per progressivo sfiancamento di un piccolo tratto della parete arteriosa là dove vi è stata la perdita della lamella elastica. La parete dell’aneurisma per questo motivo è estremamente fragile e suscettibile di rottura in quanto priva della normale protezione.

Gli aneurismi cerebrali sono congeniti o ne vengono riconosciute delle cause?

Non vengono definiti congeniti nel vero senso della parola, anche se sono state eseguite svariate ricerche ed estrapolate numerose teorie in merito a questo argomento. Più propriamente sono considerate congenite alcune anomalie del calibro e della suddivisione dei vasi arteriosi, che costituiscono il circolo anastomotico “ad anello”, denominato “circolo di Willis”, dal nome di colui che lo descrisse nel 1664 nell’opera “Cerebri anatomie”. Da tale raccordo anastomotico presente a livello del basicranio, si diramano tutte le arterie cerebrali, che vanno ad irrorare i vari distretti dell’encefalo e nelle quali possono verificarsi progressive alterazioni circolatorie circoscritte del tutto asintomatiche (turbolenze), che causano nel tempo la distruzione di alcuni tratti della lamella elastica della parete dei vasi. Questa è la base patogenetica primaria; tuttavia vengono riconosciute delle cause scatenanti secondarie tra le quali, le più importanti sono l’ipertensione arteriosa o le attività fisiche stressanti, che implicano un brusco aumento della pressione arteriosa.

Sono affezioni frequenti e quale età è più colpita?

La gravità della malattia e la delicatezza della terapia fanno emotivamente sembrare tali affezioni molto frequenti. In realtà gli aneurismi cerebrali incidono mediamente in 10 casi per 100.000 abitanti. Si manifestano molto raramente nella prima decade di vita e divengono sintomatici con l’avanzare dell’età: più della metà si manifesta tra i 40 e i 60 anni. Le donne sono colpite più frequentemente degli uomini.

Quali sintomi provocano?

L’aneurisma, nella maggior parte dei casi, è una malformazione di piccolo volume a sviluppo lento o nullo e senza alcuna manifestazione clinica. I sintomi quindi sono nella grande maggioranza dei casi associati alla rottura della sacca aneurismatica, che generalmente avviene in modo improvviso e senza sintomi premonitori. La storia clinica è variegata e va dalla cefalea ai disturbi dello stato di coscienza, ai deficit neurologici sino alla morte in un terzo dei casi. La cefalea è il sintomo più comune e insorge nell’85-97% dei casi: è improvvisa e molto violenta, ben diversa pertanto dalle comuni cefalee causate da altre fattori. Se l’aneurisma è adiacente ad alcuni nervi cranici, oppure è di notevole dimensione (aneurisma “gigante” oltre i 2,5 cm di diametro) possono manifestarsi dei sintomi specifici da compressione. Più frequentemente è interessato uno dei nervi cranici della motilità oculare per cui il paziente è affetto da diplopia (vede doppio).

Cosa comporta la rottura di un aneurisma?

La rottura di un aneurisma determina sempre un particolare tipo di emorragia che si definisce “subaracnoidea”, nel frammezzo di quel foglietto meningeo molto sottile che ricopre la superficie del cervello e penetra come una ragnatela (dal greco “aracnoidè” = tela di ragno) accompagnando i vasi nei profondi anfratti e lacune cerebrali (“solchi” e “cisterne”). È pertanto un’emorragia generalmente diffusa, che interessa la superficie del cervello, anche se può avere delle localizzazioni specifiche. Meno frequentemente si ha un sanguinamento intracerebrale con conseguente ematoma.

L’emorragia da rottura di un aneurisma può essere definita un “ictus”?

Ictus deriva dal latino e significa colpo e quindi in termini traslati “evento improvviso”.
Anche l’emorragia subaracnoidea, come un infarto cardiaco del resto, può essere definita un evento ictale. Tuttavia per una abituale accezione comune, l’ictus cerebrale è una patologia diversa, comunemente associato ad eventi molto più frequenti quali l’insufficienza circolatoria cerebrale (ischemia cerebrale) o la rottura di piccoli vasi arteriosi cerebrali (emorragie cerebrali). Pertanto generalmente il termine ictus viene tenuto distinto dall’emorragia da rottura di un aneurisma.

Quali sono gli effetti dell’emorragia subaracnoidea?

A parte gli intuibili effetti da compressione locale in quei casi di ematoma intracerebrale, la diffusione spesso estesa e diramata dell’emorragia subaracnoidea esercita un’azione negativa più dal punto di vista chimico, che meccanico, con gravissimi quadri (coma, morte) anche in presenza di uno stravaso di sangue relativamente modesto. Si descrive, infatti, un’azione tossica da parte di alcune sostanze liberate dalla rottura dei globuli rossi direttamente sulle cellule cerebrali (edema e/o necrosi della cellula) e sugli stessi vasi arteriosi, che possono restringersi abnormemente ed impedire il normale afflusso di sangue procurando un’ischemia spesso irreversibile (“vasospasmo”). Questa azione tossica può presentarsi dopo qualche giorno dall’evento emorragico e può interessare un paziente anche in ottime condizioni cliniche.

L’aneurisma può essere un reperto occasionale?

Gli aneurismi cerebrali possono essere dei reperti occasionali nel corso di indagini diagnostiche eseguite per altri motivi. Sono questi i casi degli “aneurismi non rotti” la cui prognosi è legata ad un più favorevole trattamento, in quanto il cervello non è stato interessato dall’episodio emorragico e dalle sue eventuali conseguenze. Aneurismi occasionali possono essere riscontrati, anche in presenza di una clinica aspecifica (cefalea) o sintomi neurologici da effetto massa (per es. compressione dei nervi cranici da parte di aneurismi voluminosi), che indirizzano lo specialista a richiedere adeguati esami neuroradiologici.

Un’emorragia subaracnoidea è dovuta sempre alla rottura di un aneurisma?

Non sempre. In una percentuale media del 10% di tutti i casi d’emorragia subaracnoidea, l’accertamento diagnostico specifico, l’angiografia cerebrale, può risultare negativo. Si tratta dell’emorragia subaracnoidea definita “sine materia” e la prognosi è molto buona. Solo una piccolissima percentuale di questi casi tuttavia risulta positiva per aneurisma al secondo controllo angiografico, che deve essere sempre ripetuto dopo circa 15 giorni dall’esordio dell’emorragia.

Quali indagini vengono eseguite per la loro diagnosi?

Prima di ogni indagine è estremamente importante la tempestiva interpretazione delle peculiari caratteristiche della cefalea e l’invio precoce in strutture sanitarie attrezzate.
Il primo esame, da eseguirsi d’urgenza, è la Tomografia Computerizzata encefalica. Se questo non dovesse mostrare l’emorragia e la sintomatologia clinica è caratteristica, bisogna eseguire una puntura lombare, che è in grado di evidenziare l’eventuale presenza di sangue nel liquor.
La Tomografia Computerizzata encefalica è importante per esprimere la quantità di sangue negli spazi cerebrali (solchi e cisterne) ed avere una previsione prognostica relativa: una maggior quantità globale di sangue può essere indice di una maggiore probabilità di effetti tossici (vasospasmo).
La diagnosi definitiva di aneurisma cerebrale, occasionale o sanguinate, è tuttavia sempre affidata all’angiografia encefalica, che si esegue ponendo un lungo catetere nell’arteria della coscia, più precisamente all’inguine (l’arteria femorale), e portandolo fino alle arterie del collo (carotide e vertebrale) visualizzando tutti i vasi dell’encefalo. Così si può avere la conferma della presenza dell’aneurisma e della sua sede. Il costante miglioramento di tale diagnostica strumentale ed in modo particolare le recenti angiografie rotazionali tridimensionali permettono una migliore visualizzazione e definizione della sacca aneurismatica, facilitando in tal modo un eventuale trattamento chirurgico o neuroradiologico.
Anche la Risonanza Magnetica (angio-RMN) e, oggi, le più recenti Tomografie Computerizzate (angio-TC) sono in grado di visualizzare le malformazioni vascolari in modo da poter evitare, in molti casi, l’angiografia cerebrale. Tali metodiche sono utilizzate preliminarmente soprattutto per svelare la presenza di eventuali aneurismi occasionali. Tuttavia la negatività di tali esami non esclude completamente la possibilità, che vi siano delle sacche aneurismatiche.

Vi sono cure mediche?

La terapia medica iniziale, che deve essere la più tempestiva possibile non è specifica per il trattamento degli aneurismi, ma si limita a prevenire gli effetti legati al vasospasmo. Quest’ultima si ottiene raggiungendo elevati livelli di pressione sanguigna e perfusione cerebrale, utilizzando una terapia ipervolemica associata ad agenti vasopressori. Importante è il trattamento dell’insufficienza respiratoria nei pazienti comatosi: questo deve essere eseguito in precedenza a qualsiasi altro provvedimento, anche diagnostico. Un ulteriore abbassamento dell’apporto di ossigeno comporta un ulteriore danno ad un cervello compromesso, che ha già subito un’emorragia.

Qual è la terapia degli aneurismi?

La terapia specifica è quella chirurgica. Essa consiste nell’esclusione della sacca aneurismatica dalla circolazione arteriosa, impedendone così il risanguinamento.

Vi sono metodiche di trattamento non chirurgiche?

Alcuni decenni fa prima dell’avvento delle tecniche microchirurgiche, il trattamento chirurgico degli aneurismi cerebrali era caratterizzato da tassi di mortalità molto elevati.
Oggi la tecnica microchirurgica riesce ad avere degli eccellenti risultati e sia la morbilità che la mortalità sono legate più alle conseguenze dell´emorragia ed allo stato generale del parenchima cerebrale (ipertensione endocranica da edema o da vasospasmo), che non al provvedimento chirurgico in se’ stesso. Tuttavia la chirurgia degli aneurismi rimane sempre delicata ed andrebbe eseguita da chirurghi dedicati specificatamente a questa patologia.
Successivamente alla strategia chirurgica si è sviluppata la tecnica endovascolare, che consiste nella chiusura della sacca dall’interno con dei microcateteri. Con il progressivo utilizzo e miglioramento della metodologia neuroradiologica c’è stata una rivalutazione delle indicazioni. Oggi l’embolizzazione sembra porsi non solo come una metodica complementare a quella chirurgica, ma anche risolutiva in grado d’escludere completamente gli aneurismi dal circolo.

In che cosa consiste l’intervento chirurgico?

L’intervento chirurgico comporta una tricotomia limitata, generalmente anteriore appena dietro l’attaccatura dei capelli, destra o sinistra sopra la fronte oppure dietro l’orecchio per alcune forme di aneurisma posteriore ed, infine, una tricotomia totale in caso di aneurismi multipli. L’incisione cutanea è limitata ed invisibile dopo la nuova crescita dei capelli.
Lo sportello osseo (opercolo) è di pochi cm di diametro e il raggiungimento dell’aneurisma avviene attraverso le fessure naturali del cervello (“solchi” e “scissure”).
Per escludere l’aneurisma si usano una o più clips metalliche (sofisticate mollette in titanio) che vengono poste a livello del “collo” dell’aneurisma, chiudendolo, ma lasciando libere le normali arterie della circolazione cerebrale.

In che cosa consiste l’embolizzazione?

Un microcatetere, che viene inserito a livello dell’inguine nell’arteria femorale, accede progressivamente al distretto arterioso intracranico. Si raggiunge l’arteria cerebrale interessata dall’aneurisma ed in prossimità del colletto dell’aneurisma vengono rilasciate all’interno della sacca microspirali metalliche (coils), con lo scopo di obliterare la cavità aneurismatica.

Trattamento chirurgico o embolizzazione: quali sono le ultime tendenze?

La scelta terapeutica più adeguata è ancora oggetto di numerose discussioni ed innumerevoli studi di tipo clinico-osservazionale vengono continuamente riportati in letteratura. La progressiva evoluzione tecnologica ha sicuramente migliorato ed avvantaggiato la procedura embolizzante, portando ad un sempre più ampio impiego di questa strategia terapeutica. Ovviamente entrambe le metodiche presentano vantaggi e svantaggi, che devono essere valutati per ogni singolo paziente. La chirurgia permette d’ottenere un’esclusione completa della sacca aneurismatica nella quasi totalità dei casi, al contrario dell’embolizzazione che raggiunge attualmente percentuali di circa il 60-70%. Inoltre il clipping chirurgico è più facilmente attuabile quando la sacca aneurismatica presenta colletti larghi, mentre in tali casi è difficile l’obliterazione della cavità con coils. Dall’altro lato la tecnica neuroradiologica proprio per il fatto di essere più conservativa, evita la normale trazione e le consuete manovre chirugiche sul parenchima cerebrale. Pertanto attualmente si ricorre alla chirurgia sempre più selettivamente in presenza di un’ematoma intraparenchimale o di aneurismi del circolo anteriore con anatomia molto complessa.

Quale vita dopo l’emorragia e l’intervento chirurgico?

Nel paziente possono esitare le eventuali conseguenze dell’emorragia. Se il soggetto ha superato bene l’emorragia e quindi anche l’intervento, può riprendere una vita normale.