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Idrocefalo

Cosa si definisce idrocefalo?

Il termine idrocefalo deriva dal greco “hydro” che significa acqua e “cephalus” che significa testa. Come è insito nell’etimologia, è una condizione in cui la caratteristica primaria è un eccessivo accumulo di liquido nell’encefalo. Questo liquido è il liquor che normalmente avvolge e riempie le cavità dell’encefalo e del midollo spinale, in quantità di circa 150 cc.
L’eccessivo accumulo del liquor provoca una abnorme dilatazione degli spazi encefalici chiamati ventricoli. Il sistema ventricolare è formato da quattro cavità connesse fra di loro ed in comunicazione con gli spazi liquorali subaracnoidei. Questi spazi avvolgono in superficie tutto il sistema nervoso centrale. Il liquor è continuamente prodotto nei ventricoli, fluisce nelle cavità della base cranica, circola sulle superfici dell’encefalo e del midollo spinale ed è assorbito nel flusso sanguigno attraverso strutture chiamate villi aracnoidei. Attualmente si ritiene che circa un quarto del liquor sia riassorbito per mezzo delle vie linfatiche. Questo permette un equilibrio dinamico fra produzione e riassorbimento del liquor. Il liquor nelle 24 ore si ricambia circa tre volte.

Che funzione ha il liquor?

Il liquor ha tre impartanti funzioni vitali: permette il galleggiamento della massa nervosa agendo come un cuscinetto protettivo; agisce come veicolo per la distribuzione dei nutrimenti e la rimozione delle scorie dall’encefalo; compensa la variazione di volume ematico intracranico facendo fluire parte del liquor dal compartimento cranico a quello spinale.

Perché si sviluppa un idrocefalo?

L’idrocefalo si sviluppa quando si produce un eccesso di liquor, quando è presente un difetto di riassorbimento o quando, ed è l’evenienza più frequente, c’è un blocco lungo le vie di deflusso.

Quali sono i differenti tipi di idrocefalo?

L’idrocefalo può essere congenito od acquisito. L’idrocefalo congenito è presente alla nascita e può essere causato da influenze ambientali durate lo sviluppo fetale o da predisposizione genetica. L’idrocefalo acquisito si sviluppa alla nascita o più tardi. Quest’ultimo tipo può colpire individui di tutte le età e può essere conseguente a traumi cranici, a lesioni espansive che interessano il sistema nervoso centrale, a emorragie subaracnoidee, a processi infiammatori od a malformazioni.
L’idrocefalo può essere comunicante o non comunicante. Il primo si verifica quando la circolazione del liquor è ostacolata o bloccata nelle vie di deflusso extraventricolari o per un difetto del riassorbimento. Questa forma è così chiamata perché il liquor può ancora fluire attraverso i vari ventricoli che sono pervi. L’idrocefalo non comunicante, che è sempre provocato da meccanismi ostruttivi, si realizza quanto una delle vie di comunicazione fra i ventricoli o fra i ventricoli e le cavità basali è stenotica o bloccata.
Una delle cause più comuni di idrocefalo è la stenosi dell’acquedotto. In questo caso l’idrocefalo risulta da un restringimento, che può giungere fino alla occlusione, della esile via di comunicazione fra il terzo ed il quarto ventricolo.
Ci sono altre due forme di idrocefalo che a rigore non possono essere inserite nelle categorie menzionate sopra e che colpiscono principalmente l’adulto. Si tratta dell’idrocefalo ex-vacuo e dell’idrocefalo cosiddetto a pressione normale dell’anziano. L’idrocefalo ex-vacuo si realizza quando c’è stato un danno dell’encefalo di varia natura: trauma, ictus o malattia degenerativa. In questi casi ci può essere una riduzione anche significativa della massa cerebrale, soprattutto sottocorticale, che permette una sovra distensione del sistema ventricolare.
L’idrocefalo normoteso dell’anziano non trova una causa eziologica significativa. È caratterizzato da una dilatazione armonica del sistema ventricolare sopratentoriale.

L’idrocefalo è un disturbo comune?

La frequenza di questa patologia è difficile da stabilire dal momento che non esistono registri nazionali o data base delle persone con idrocefalo e disordini strettamente associati. Comunque si ritiene che l’idrocefalo colpisca approssimativamente uno ogni 500 bambini. Allo stato attuale, la maggior parte di questi casi sono diagnosticati in epoca prenatale, al momento del parto o nella prima infanzia.

Quali sono le cause di idrocefalo?

L’idrocefalo può derivare da disordini genetici (stenosi dell’acquedotto) e alterazioni dello sviluppo, quali le malformazioni di Arnold-Chiari e di Dandy-Walker, e quelle associate ad alterazioni del tubo neurale (spina bifida ed encefalocele). Altre possibili cause comprendono le complicanze peri- o postnatali come emorragie intraventricolari o diverse patologie dell’età infantile o adulta quali meningiti, lesioni espansive, traumi cranici o emorragie subaracnoidee che impediscono il deflusso liquorale.

Quali sono i sintomi dell’idrocefalo?

Variano con l’età, la progressione della malattia (in acuto o cronicamente) e le differenze individuali nella tolleranza all’aumento della pressione intracranica.
Nei neonati e fino all’età di circa due anni la tolleranza agli aumenti di pressione intracranica è diversa che nel bambino e nell’adulto. Infatti, il cranio in tenera età, fina a quando non si sono saldate le suture ossee, può espandersi in conseguenza della spinta pressoria idrocefalica. Questo non può accadere nell’adulto in quanto la scatola cranica è inestensibile. In questi casi ogni aumento volumetrico di uno o più componenti endocranici, una volta esauriti i meccanismi di compenso, si traduce in un aumento della pressione intracranica.
Sotto i due anni, la più chiara indicazione di idrocefalo è quindi la rapida crescita della circonferenza cranica o un inusuale macrocefalia. Altri segni sono: fontanella anteriore tesa e non pulsante, cute cranica sottile e solcata da vene superficiali dilatate, fronte ampia e con bozze preminenti, palpebre superiori retratte con occhi ad aspetto a “sole calante”. Possono associarsi vomito, sonnolenza, irritabilità, inappetenza e crisi epilettiche. Col perdurare della condizione compaiono segni di compressione encefalica quali paralisi dei nervi cranici, paraparesi spastica, alterazioni cerebellari. Si instaura un ritardo dello sviluppo. Se non si interviene chirurgicamente il peggioramento è progressivo. Nella metà dei casi l’evoluzione è verso il decesso, negli altri casi si ha una stabilizzazione spontanea con postumi più o meno invalidanti.
Nei bimbi di maggiore età o negli adulti i sintomi o i segni possono includere vomito, nausea, deficit dell’acuità visiva, diplopia (visione doppia), papilledema, problemi dell’equilibrio, scarsa coordinazione, disturbi della deambulazione, incontinenza urinaria, rallentamento o perdita dello sviluppo, letargia, irritabilità ed altri cambiamenti della personalità o delle funzioni cognitive. I sintomi riportati si riferiscono ai casi tipici, va però ricordato che i sintomi possono variare significativamente da individuo a individuo.

Come è diagnosticato l’idrocefalo?

L’idrocefalo è diagnosticato mediante una attenta valutazione clinica supportato dalle indagini strumentali. Nel feto e nel neonato si fa ricorso agli ultrasuoni che abbinano la facile accessibilità all’assenza di invasività. Insostituibili nell’iter diagnostico sono però la Tomografia Computerizzata e la Risonanza Magnetica encefaliche. Quest’ultima, con particolari sequenze, permette anche una valutazione dinamica del flusso liquorale.

Quali sono i trattamenti proposti nell’idrocefalo?

L’idrocefalo è trattato chirurgicamente. Si realizzano sistemi di derivazione, chiamati shunt, che deviano il flusso liquorale dalle cavità ventricolari ad un’altra parte del corpo: atrio cardiaco destro e soprattutto peritoneo. Un modalità di derivazione alternativa, tutta a livello cranico) è data dalla derivazione ventricolo-seno trasverso (sistema sinu-shunt). Negli idrocefali ostruttivi da tumori del tronco e nella stenosi dell’acquedotto può essere indicato un intervento in neuroendoscopia di ventricolocisternostomia.

Come si realizzano le derivazioni ventricolari extracraniche?

Il sistema di derivazione è composto da un catetere intraventricolare, da una valvola e da un catetere distale di scarico nel torrente ematico o in una cavità sierosa (peritoneo). Il catetere prossimale, attraverso un piccolo foro del cranio, trapassando il cervello viene posizionato in un ventricolo ed è collegato al catetere distale mediante l’interposizione di una valvola. Tale valvola, solitamente collocata in sede mastoidea consente il passaggio liquorale in un’unica direzione (dal ventricolo alla periferia) e regola il flusso in base alla pressione intracranica. Tutto il sistema, tranne il catetere prossimale nella sua porzione intracranica e quello distale nella sua porzione intrasierosa o intravascolare, è posizionato sottocute.
I sistemi di derivazione liquorale sono realizzati con materiale inerte e possono essere lasciati in sede indefinitivamente o rimossi qualora cessi la causa dell’idrocefalo. Attualmente sono sempre più usate valvole programmabili che permettono di variare nel tempo dall’esterno, con apposita apparecchiatura, la pressione di apertura della valvola in base alla risposta clinica del paziente.
Lo shunt comunemente più utilizzato è quello ventricolo-peritoneale. Gli interventi sono realizzati in anestesia generale.

Come si realizza la ventricolocisternostomia?

Un selezionato numero di pazienti, in cui l’idrocefalo è ostruttivo, può essere trattato con una procedura alternativa chiamata ventricolocisternostomia.
In questa procedura, un neuroendoscopio (cioè uno strumento che permetta all’operatore di visualizzare tramite una piccola telecamera, le cavità ventricolari sfruttando la tecnologia delle fibre ottiche) viene introdotto nelle cavità ventricolari attraverso un piccolo foro della teca cranica. Si esegue poi con apposito strumentario miniaturizzato, una piccola piccola comunicazione fra il pavimento del terzo ventricolo e gli spazi subaracnoidei della base cranica. Questo permette di bypassare la sede ostruttiva a livello dell’acquedotto o del ventricolo.
L’intervento è in anestesia generale. La procedura è miniinvasiva e questo comporta una degenza ospedaliera molto breve.

Vi sono complicanze nei trattamenti chirurgici?

Il rischio di complicanze è modesto. La più temibile è l’ematoma operatorio intraparenchimale.
Mentre le complicanze tardive dei sistemi di shunt possono includere: malfunzionamento, infezioni, ostruzioni, interruzione del catetere. Quest´ultima evenienza spesso si riscontra negli bambini che presentano un rapida crescita staturale. Generalmente i sistemi di shunt richiedono un regolare controllo medico. Alcuni sistemi di derivazione realizzano un iper- o ipodrenaggio. Un iperdrenaggio si verifica quando lo shunt permette un deflusso liquorale più rapido della produzione. Si può così provocare un collasso ventricolare, un ematoma sottodurale acuto o cronico con sintomi di ipertensione endocranica come cefalea e vomito. L´ipodrenaggio invece provoca una ricomparsa della sintomatologia da idrocefalo.
In aggiunta dei comuni sintomi imputabili all’idrocefalo, l’infezione del sistema di derivazione può produrre sintomi come febbre non elevata, dolorabilità alle spalle ed al collo, rossore e dolore lungo il tragitto dello shunt. Inoltre, si può associare la sintomatologia ed i segni clinici dell’infezione a carico della cavità sierosa: peritonite. Si rende quindi necessaria la sostituzione del sistema, previa sterilizzazione del liquor mediante opportuna antibioticoterapia e derivazione ventricolare esterna temporanea.

Quali sono le percentuali di successo del trattamento chirurgico?

La prognosi per i pazienti con diagnosi di idrocefalo è difficile da predire benché ci sia una qualche correlazione fra l’eziologia e l’andamento clinico. La prognosi è ulteriormente complicata dalla presenza di disturbi associati, dalla tempestività della diagnosi e dal successo del trattamento. Inoltre, dopo lo shunt chirurgico, non è chiaro il grado di riduzione della dilatazione ventricolare necessario per far regredire o per minimizzare i sintomi o i segni d’esordio.
I pazienti ed i loro famigliari devono comprendere che l’idrocefalo implica dei rischi per lo sviluppo. Comunque, molti bambini idrocefalici, che dopo la derivazione sono stati sottoposti ad intensi programmi riabilitativi ed educativi, hanno raggiunto una buona autonomia con conduzione di vita pressoché pressoché normale con modeste limitazioni. Le indagini neuroradiologiche sono necessarie nel controllo postchirurgico ed a distanza sia per valutare il corretto posizionamento del sistema di drenaggio in sede intracranica sia per monitorare l’evolutività morfologica delle dimensioni ventricolari. La RM permette anche di valutare la buona funzionalità della ventricolocisternostomia, si può infatti osservare il cosiddetto segnale di “flow-void”. Inoltre, la radiologia tradizionale è ancora insostituibile nell’evenienza di un malfunzionamento del sistema di drenaggio in quanto, essendo radioopaco, è ben impressionabile sulla lastra radiografica. È così possibile seguire tutto il percorso dello shunt, dal cranio alla cavità di scarico, per rilevare eventuali interruzioni.
In caso di insuccesso funzionale dell’intervento di ventricolocisternostomia la procedura può essere ripetuta oppure il trattamento chirurgico può essere convertito in uno shunt ventricolo-peritoneale o analogo.